MUMBAI: IL CONTAGIO E UNA LEZIONE DIMENTICATA

Un’epidemia di peste bubbonica colpì nel 1898 quella che oggi è Mumbai ma allora era Bombay, grande centro di traffici marittimi, splendida città in parte recuperata dal mare dagli inglesi colonizzatori. Allora le autorità coloniali intervennero sulla struttura urbana applicando strette regole sanitarie, distruggendo e ricostruendo interi quartieri di edilizia popolare con criteri d’avanguardia e aprendo ampi spazi al benefico flusso dell’aria marina. Una memoria e benefici presto perduti. Nell’India indipendente dal 1947, Bombay sarebbe diventata una delle città più inquinate dell’Asia, meta di una immigrazione che ha nel tempo occupato ogni spazio disponibile e reso problematico adeguare i servizi.

Oggi le zone più degradate di quello che è il cuore economico e finanziario dell’India accolgono almeno la metà dei 20 milioni di abitanti censiti, con un numero crescente di individui che vi arrivano espulsi da aree residenziali sempre più claustrofobiche e sempre più care anche per la crescente classe media. A Dharavi, forse un milione di residenti, per lungo tempo il più congestionato slum dell’Asia e dove la densità supera i 300mila abitanti per chilometro quadrato, i contagi da Covid-19 sono quasi 1.500, un centinaio i morti.

I quasi 23mila casi di coronavirus finora registrati a Mumbai equivalgono a un quinto del totale nazionale, ma i decessi (800) sono in percentuale superiore e si teme un’esplosione di contagi. La densità della popolazione è sicuramente una concausa della diffusione epidemica, insieme alla carenza di servizi igienici e di presidi medico-sanitari. Il divario tra i 186 dispensari registrati a Mumbai nell’ultimo censimento (2011), e gli 830 ritenuti necessari allora a soddisfare lo standard di uno ogni 15mila abitanti, non è mai stato colmato. Più che altrove nelle metropoli dell’India l’epidemia sta evidenziando i limiti di una situazione che l’urbanista Kedar Ghorpade, paragona a “una bomba sanitaria” innescata anche “dalla mancanza di comprensione degli ambienti umani”.

Stefano Vecchia