CORONAVIRUS NEL SUD-EST ASIATICO 1

In una regione che costituisce un importante snodo dei trasporti, dei commerci, del turismo e delle migrazioni e di cui fanno parte i 10 paesi dell’Asean, Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, le problematiche sono in parte comuni. In quest’area abitata da 700 milioni di persone e caratterizzata da varietà etnica, linguistica culturale, religiosa e di sistemi politici crescono i casi di contagio da Covid-19, nonostante la difficoltà a delineare la portata della pandemia per la scarsità dei controlli data la generale limitatezza delle risorse sanitarie, quasi ovunque nettamente inadeguate.

Rispetto all’Europa o agli Stati Uniti, la popolazione locale ha il vantaggio dell’età media molto bassa: 30,2 anni, che scendono addirittura a 25,7 per le Filippine. Una condizione che limita i casi più gravi e facilita il recupero in caso di contagio,.

Nazioni-arcipelago come Indonesia e Filippine sono quelle maggiormente a rischio, anche per le difficoltà di intervento, ma solo poche migliaia di test forniti da Australia, Giappone, Corea del Sud sono finora stati eseguiti sui 76 milioni di abitanti in Cambogia, Laos e Myanmar, sottoposti a una quarantena che influisce pesantemente su buona parte della popolazione meno favorita.

Problema di rilievo, la sorte del gran numero di migranti economici rimasti bloccati fuori dai confini nazionali, nell’area o al suo esterno.

Sul piano delle emergenze umanitarie, preoccupa la sorte dei Rohingya, minoranza musulmana espulsa dal Myanmar dalle campagne militari degli ultimi anni che, con l’avvio della stagione più favorevole per prendere il mare, sono già deceduti a decine tentando la traversata dalle coste birmane o del Bangladesh diretti, soprattutto, verso la musulmana Malaysia. Difficile trovare approdi lungo la rotta, ancor più in piena allerta epidemica, ma la pressione dei trafficanti e le pesanti condizioni in cui i Rohingya si trovano nei centri di raccolta, incentivano la partenza.

Stefano Vecchia

Come l’Asia affronta la pandemia

Focolaio primario della pandemia, l’Asia corre ai ripari con provvedimenti di urgenza isolando aree abitate oppure potenziando i sistemi sanitari e la coscientizzazione delle popolazioni. Tuttavia la preoccupazione è elevata, soprattutto per le realtà più afflitte da povertà, repressione politica o incompetenza. Diffuso è il timore che saranno le classi medie già falcidiate dalla crisi economica e i più poveri e indifesi a subire le conseguenze maggiori della pandemia.

I pochi casi ufficiali di contagio, da poche decine a qualche centinaio, con il numero massimo (900) in Malaysia accertati nei dieci paesi membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) che conta 630 milioni di abitanti, sembrano più frutto di sottovalutazione che di reale diffusione del Covid-19. Ovunque, ampie differenze di reddito e possibilità tra una esigua minoranza e la maggior parte degli abitanti, qui come altrove in Asia, non potranno che amplificare le conseguenze per i gruppi meno favoriti.

“Le problematiche abitative sono ora sulla linea del fronte contro la diffusione del coronavirus, avere una abitazione mai come ora può fare la differenza per la vita o la morte”. Con queste parole Leilani Farha, Inviato speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’abitazione, ha sollecitato tutti i governi a prendere misure efficaci per evitare che altri vadano ad aggiungersi al gran numero di individui che vivono in condizioni abitative precarie (1,8 miliardi nel mondo) che li espongono ora maggiormente al contagio. A sua volta, un rapporto della United Nations Economic and Social Commission for Asia and the Pacific segnala con chiarezza i rischi di recessione in aree vulnerabili, al punto che la pandemia potrebbe più che raddoppiare il numero degli asiatici in povertà estrema (sotto 1,9 dollari al giorno) prima previsto in 56 milioni entro il 2030.

Si temono anche i rischi di involuzione democratica e la restrizione di diritti e libertà già ridotte o sotto pressione in diversi paesi. Non a caso, in una Hong Kong che registra un record di contagi di ritorno, in buona parte attribuibile al rientro di cittadini e stranieri dall’estero, il prolungato braccio di ferro tra democratici e governo locale (supportato da Pechino) è andato sottotraccia ma l’accademico e attivista Benni Tai parla dello stato di diritto attuale come di “un morto che cammina”. Altrove, come in Thailandia, Cambogia, Corea del Nord – la stessa Repubblica popolare cinese – a rischio sono anche regimi repressivi messi alla prova da un’emergenza che si associa alla recessione economica già in corso. Infine, crescono i timori delle minoranze religiose in realtà, come la Malaysia, il Myanmar o l’India, dove la crisi potrebbe incentivare xenofobia e suprematismo a base religiosa.

Stefano Vecchia