THAILANDIA: LA PROTESTA ALZA LA POSTA

Dal 14 ottobre, la protesta che ha ripreso slancio lo scorso agosto a Bangkok ha visto un salto di qualità. Non hanno avuto alcun effetto deterrente finora l’imposizione dell’emergenza, la possibilità dichiarata dal primo ministro – l’ex generale golpista Prayut Chan-ocha – del coprifuoco se necessario, l’arresto di una cinquantina di leader degli oppositori e limitate azioni di forza. Decine e forse centinaia di migliaia di thailandesi, perlopiù giovani, da una settimana hanno aperto un fronte sempre mutevole in più aree della capitale e altrove nel paese, con raduni preceduti e accompagnati da uno tsunami di informazioni e di solidarietà via social. Sull’esempio di Hong Kong, si “fanno acqua”, senza una leadership o una strategia costante, chiedono riforme e dialogo ma sanno che non possono perdere slancio nonostante i rischi.

D’altra parte, con le loro azioni e reazioni costantemente monitorate all’interno e all’estero, i militari e i loro proxy nella politica e al governo sanno che il paese sta esaurendo la tolleranza verso la vocazione golpista delle forze armate, la loro corruzione, inefficienza a governare e insensibilità che la pandemia in corso ha evidenziato. Due dei “poteri forti”, militari e monarchia, sono oggi in discussione. Un terzo – le poche famiglie che controllano in regime di monopolio immense ricchezze – rischierebbe contraccolpi se la società civile riuscisse a attivare la riforma di una delle società più ineguali dell’Asia. Per la prima volta, in piazza è posto anche senza mezzi termini il problema della legittimazione del sovrano. Il 68enne Rama X ha una personalità diversa dal padre, scomparso nel 2016 dopo un settantennio di regno in cui si era guadagnato una devozione quasi assoluta sacrificando per la nazione tanto della sua vita privata, avviando preziose iniziative di sviluppo e stringendo rapporti personali con tanti leader mondiali.

A molti tra i 70 milioni di sudditi, il sovrano attuale che vive soprattutto all’estero sembra impegnato, più che a ascoltare il paese, a salvaguardare le proprie prerogative, a soddisfare le sue passioni e a gestire i beni della casa reale stimati in almeno 40 miliardi di dollari. Sempre più però anche a sottrarsi all’influenza degli uomini in divisa che dalla fine della monarchia assoluta nel 1932 hanno preteso un ruolo di primo piano. Ne consegue che anche il rapporto tra monarchia e forze armate è diventato problematico, perché i militari vivono ora con disagio l’associazione con l’istituzione in crisi di credibilità, che sembra distanziarsi dalla loro tutela e potrebbe non garantire più la necessaria legittimazione al loro controllo sul paese.

Stefano Vecchia