THAILANDIA: ANCORA RIMANDATA IN DEMOCRAZIA

Altre manifestazioni nel fine settimana a Bangkok e altrove mostrano il crescente distacco tra la volontà di tanta parte della popolazione thailandese e l’attuale leadership del paese. Una situazione che ha riflessi in tante valutazioni. Tra queste la retrocessione da “parzialmente libera a “ non libera” da parte di Freedom House. Non si parla di lockdown indotto dalla pandemia, ma di una crescente febbre da autoritarismo e repressione. A certificarlo nel suo rapporto annuale sulla libertà nel mondo l’organizzazione indipendente statunitense che monitora la democrazia in 210 paesi del mondo. Al centro della valutazione negativa riferita al 2020 è anzitutto la dissoluzione da parte della magistratura del Future Forward Party, l’unico a potersi opporre, per il forte sostegno popolare, a un parlamento e a un governo controllati – con o senza divisa – dai militari e dai gruppi di interesse che ad essi si appoggiano o con essi condividono benefici e potere.

Nell’assegnare alla Thailandia un punteggio di 30 su 100 (in discesa da 32 su 100 del 2019), l’organizzazione ha tenuto anche conto della costante repressione subita dai gruppi democratici. Tuttavia anche per il 2019, anno in cui il punteggio era risalito per le elezioni, le prime dopo il colpo di stato del 2019, Freedom House aveva sottolineato come “i risultati annunciati sei settimane dopo il voto” fossero segnati da molte irregolarità, con schede “perdute” e un conteggio iniziale poi rivisto. La mossa di poco successiva di ridefinire la distribuzione dei seggi, riducendo quelli disponibili per le opposizioni a favore dei gruppi filo-militari, aveva suscitato non pochi dubbi sulla sorte delle nuova democrazia thai e acceso le proteste ancora in corso. Significativa anche la sottolineatura di Freedom House sulla monarchia, tesi assai delicata nel paese ma centrale nella comprensione della situazione attuale e nel processo di storico che l’ha concretizzata, portando a “una combinazione di deterioramento della democrazia e di frustrazione sul ruolo della monarchia”.

Una situazione che sta provocando una reazione diffusa e crescente di molti gruppi della società civile, con alla testa gli studenti universitari, che chiedono la riscrittura della Costituzione in vigore dopo il colpo di stato del 2014, l’uscita di scena dei militari dalla gestione del paese ma anche un aperto dibattito sull’istituzione monarchica che troppo spesso ai militari si è appoggiata o di cui ha subito i condizionamenti. “Come risposta alle proteste guidate dai giovani, il regime ha recuperato le tattiche autoritarie così familiari nel paese, inclusi arresti arbitrari, intimidazione, accuse di lesa maestà e persecuzione degli attivisti”, ha ricordato Freedom House, mentre “la libertà dell’informazione è limitata, non sono garantiti giusti processi mentre vige l’impunità per i reati commessi contro gli attivisti”.

Stefano Vecchia

THAILANDIA: LA PROTESTA ALZA LA POSTA

Dal 14 ottobre, la protesta che ha ripreso slancio lo scorso agosto a Bangkok ha visto un salto di qualità. Non hanno avuto alcun effetto deterrente finora l’imposizione dell’emergenza, la possibilità dichiarata dal primo ministro – l’ex generale golpista Prayut Chan-ocha – del coprifuoco se necessario, l’arresto di una cinquantina di leader degli oppositori e limitate azioni di forza. Decine e forse centinaia di migliaia di thailandesi, perlopiù giovani, da una settimana hanno aperto un fronte sempre mutevole in più aree della capitale e altrove nel paese, con raduni preceduti e accompagnati da uno tsunami di informazioni e di solidarietà via social. Sull’esempio di Hong Kong, si “fanno acqua”, senza una leadership o una strategia costante, chiedono riforme e dialogo ma sanno che non possono perdere slancio nonostante i rischi.

D’altra parte, con le loro azioni e reazioni costantemente monitorate all’interno e all’estero, i militari e i loro proxy nella politica e al governo sanno che il paese sta esaurendo la tolleranza verso la vocazione golpista delle forze armate, la loro corruzione, inefficienza a governare e insensibilità che la pandemia in corso ha evidenziato. Due dei “poteri forti”, militari e monarchia, sono oggi in discussione. Un terzo – le poche famiglie che controllano in regime di monopolio immense ricchezze – rischierebbe contraccolpi se la società civile riuscisse a attivare la riforma di una delle società più ineguali dell’Asia. Per la prima volta, in piazza è posto anche senza mezzi termini il problema della legittimazione del sovrano. Il 68enne Rama X ha una personalità diversa dal padre, scomparso nel 2016 dopo un settantennio di regno in cui si era guadagnato una devozione quasi assoluta sacrificando per la nazione tanto della sua vita privata, avviando preziose iniziative di sviluppo e stringendo rapporti personali con tanti leader mondiali.

A molti tra i 70 milioni di sudditi, il sovrano attuale che vive soprattutto all’estero sembra impegnato, più che a ascoltare il paese, a salvaguardare le proprie prerogative, a soddisfare le sue passioni e a gestire i beni della casa reale stimati in almeno 40 miliardi di dollari. Sempre più però anche a sottrarsi all’influenza degli uomini in divisa che dalla fine della monarchia assoluta nel 1932 hanno preteso un ruolo di primo piano. Ne consegue che anche il rapporto tra monarchia e forze armate è diventato problematico, perché i militari vivono ora con disagio l’associazione con l’istituzione in crisi di credibilità, che sembra distanziarsi dalla loro tutela e potrebbe non garantire più la necessaria legittimazione al loro controllo sul paese.

Stefano Vecchia

“ITALIAN CONNECTION” PER IL SUPER-VIRUS

Ci risiamo! Ci aveva provato dieci giorni fa il ministro della Sanità, Anutin Charnvirakul, a cercare tra gli stranieri gli untori responsabili dell’epidemia di Covid-19 in Thailandia, trovandosi subissato di proteste e insulti e costretto per questo a chiudere il sito Facebook dove aveva postato le sue accuse insensate.

Ci riprova oggi un “eminente medico” citato dal quotidiano Thai Rath che ha incolpato gli italiani, e in particolare un fantomatico “super-diffusore” che avrebbe acceso la miccia del contagio nell’ex Paese del Sorriso che l’atteggiamento benevolo e la leggerezza del vivere ha perso da tempo sostituita da repressione, divaricazione sociale e xenofobia.

Secondo il dottor Manoon Leechawengwong, “esperto di malattie infettive del Vichaiyut Hospital di Bangkok”, il paese, che prima di marzo era stato colpito in modo molto limitato da una versione debole del virus (“di provenienza asiatica”, sottolinea), ha visto nelle ultime settimane la diffusione della forma del virus proveniente dall’Italia assai più contagiosa. Responsabile un individuo contagiato da un parente arrivato dal nostro paese (se un viaggiatore italiano o un thailandese al rientro non è specificato). Colpa sua se 50 individui sono stati contagiati durante una competizione di boxe thailandese il 6 marzo e questi a loro volta si sono incaricati (involontariamente si presume) di diffondere il morbo in modo esponenziale (721 i casi di contagio e un decesso finora).

Sulla sua pagina Facebook, il medico ha segnalato con preoccupazione le prospettive dell’epidemia in Thailandia se non si interverrà in modo tempestivo. Ovviamente sono state anche per lui numerose le critiche e le manifestazioni di scetticismo per una tesi che ancora una volta, più che certezze scientifiche o azioni in linea con l’emergenza, mostra la xenofobia e la mancanza di senso di responsabilità altrettanto diffuse.

Dopo settimane in cui i dati ufficiali erano rimasti fissi su 30-40 casi “lievi” di contagio, da qualche giorno si verifica una crescita esponenziale di casi, non diversa però da quella di altri paesi in cui ci si trova di fronte a una sottovalutazione ufficiale del problema e a direttive non solo confuse ma sostanzialmente ignorate. Tant’è vero che se Bangkok e le province limitrofe sono state messe in sicurezza chiudendo ritrovi, ristoranti, grandi magazzini e scuole fino al 12 aprile, nessuno ha pensato di impedire l’esodo della popolazione che diffonderà ovunque il contagio, finora concentrato nella capitale.

Il dottor Leechawengwong, con la sua acredine verso gli stranieri, è espressione di un paese guidato dai militari e dagli interessi elitari che vede approfondirsi le sue ombre e che va perdendo i tradizionali alleati, investitori e visitatori per finire sempre più nell’abbraccio cinese.

Stefano Vecchia