ASIA MERIDIONALE DIVISA DAVANTI AL VIRUS

L’Asia meridionale, che ospita un quinto della popolazione mondiale, affronta le conseguenze del contagio da Covid-19 senza un sostanziale coordinamento, in prospettiva aggravando le conseguenze anche economiche dell’epidemia.

Prima fra tutti nella regione a provare a individuare una via d’uscita dall’emergenza successivamente alle tre settimane di blocco dei movimenti e delle comunicazioni iniziato il 24 marzo, è l’India. Mentre si moltiplicano i contagi (4.067 quelli comunicati) e i decessi (109) ma non con l’incidenza temuta, il governo di New Delhi parla di una “ripresa a più fasi”. Probabilmente differenziando le iniziative per aree in base geografiche alla situazione del 14 aprile, a partire dalla ripresa dei trasporti pubblici nei centri principali.

Complessivamente, nella settimana tra il 30 marzo e il 5 aprile il numero dei contagi in Asia meridionale (India, Pakistan, Afghanistan, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Sri Lanka, Maldive) è raddoppiato e pochi ignorano la difficoltà a stilare una quadro preciso delle conseguenze dell’epidemia, da un lato, e dall’altro a garantire l’essenziale distanziamento sociale. Ad esempio, risulta difficile convincere i musulmani ortodossi a non frequentare le moschee in paesi islamici come Afghanistan, Pakistan e Bangladesh, mentre gruppi religiosi radicali, sia in India come in Pakistan, sono indicati come focolai di contagio.

Questi i dati ufficiali forniti ad oggi al di fuori dell’India: Pakistan, 3.277 contagiati, 50 deceduti; Afghanistan, 367 casi e 7 decessi; Sri Lanka, 176 contagiati e 5 morti; Bangladesh, 133 infettati e 13 deceduti; Maldive, Nepal e Bhutan hanno registrato finora rispettivamente 19, 9 e 5 casi di contagio ma nessun decesso.

Stefano Vecchia

Come l’Asia affronta la pandemia

Focolaio primario della pandemia, l’Asia corre ai ripari con provvedimenti di urgenza isolando aree abitate oppure potenziando i sistemi sanitari e la coscientizzazione delle popolazioni. Tuttavia la preoccupazione è elevata, soprattutto per le realtà più afflitte da povertà, repressione politica o incompetenza. Diffuso è il timore che saranno le classi medie già falcidiate dalla crisi economica e i più poveri e indifesi a subire le conseguenze maggiori della pandemia.

I pochi casi ufficiali di contagio, da poche decine a qualche centinaio, con il numero massimo (900) in Malaysia accertati nei dieci paesi membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) che conta 630 milioni di abitanti, sembrano più frutto di sottovalutazione che di reale diffusione del Covid-19. Ovunque, ampie differenze di reddito e possibilità tra una esigua minoranza e la maggior parte degli abitanti, qui come altrove in Asia, non potranno che amplificare le conseguenze per i gruppi meno favoriti.

“Le problematiche abitative sono ora sulla linea del fronte contro la diffusione del coronavirus, avere una abitazione mai come ora può fare la differenza per la vita o la morte”. Con queste parole Leilani Farha, Inviato speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’abitazione, ha sollecitato tutti i governi a prendere misure efficaci per evitare che altri vadano ad aggiungersi al gran numero di individui che vivono in condizioni abitative precarie (1,8 miliardi nel mondo) che li espongono ora maggiormente al contagio. A sua volta, un rapporto della United Nations Economic and Social Commission for Asia and the Pacific segnala con chiarezza i rischi di recessione in aree vulnerabili, al punto che la pandemia potrebbe più che raddoppiare il numero degli asiatici in povertà estrema (sotto 1,9 dollari al giorno) prima previsto in 56 milioni entro il 2030.

Si temono anche i rischi di involuzione democratica e la restrizione di diritti e libertà già ridotte o sotto pressione in diversi paesi. Non a caso, in una Hong Kong che registra un record di contagi di ritorno, in buona parte attribuibile al rientro di cittadini e stranieri dall’estero, il prolungato braccio di ferro tra democratici e governo locale (supportato da Pechino) è andato sottotraccia ma l’accademico e attivista Benni Tai parla dello stato di diritto attuale come di “un morto che cammina”. Altrove, come in Thailandia, Cambogia, Corea del Nord – la stessa Repubblica popolare cinese – a rischio sono anche regimi repressivi messi alla prova da un’emergenza che si associa alla recessione economica già in corso. Infine, crescono i timori delle minoranze religiose in realtà, come la Malaysia, il Myanmar o l’India, dove la crisi potrebbe incentivare xenofobia e suprematismo a base religiosa.

Stefano Vecchia