“ITALIAN CONNECTION” PER IL SUPER-VIRUS

Ci risiamo! Ci aveva provato dieci giorni fa il ministro della Sanità, Anutin Charnvirakul, a cercare tra gli stranieri gli untori responsabili dell’epidemia di Covid-19 in Thailandia, trovandosi subissato di proteste e insulti e costretto per questo a chiudere il sito Facebook dove aveva postato le sue accuse insensate.

Ci riprova oggi un “eminente medico” citato dal quotidiano Thai Rath che ha incolpato gli italiani, e in particolare un fantomatico “super-diffusore” che avrebbe acceso la miccia del contagio nell’ex Paese del Sorriso che l’atteggiamento benevolo e la leggerezza del vivere ha perso da tempo sostituita da repressione, divaricazione sociale e xenofobia.

Secondo il dottor Manoon Leechawengwong, “esperto di malattie infettive del Vichaiyut Hospital di Bangkok”, il paese, che prima di marzo era stato colpito in modo molto limitato da una versione debole del virus (“di provenienza asiatica”, sottolinea), ha visto nelle ultime settimane la diffusione della forma del virus proveniente dall’Italia assai più contagiosa. Responsabile un individuo contagiato da un parente arrivato dal nostro paese (se un viaggiatore italiano o un thailandese al rientro non è specificato). Colpa sua se 50 individui sono stati contagiati durante una competizione di boxe thailandese il 6 marzo e questi a loro volta si sono incaricati (involontariamente si presume) di diffondere il morbo in modo esponenziale (721 i casi di contagio e un decesso finora).

Sulla sua pagina Facebook, il medico ha segnalato con preoccupazione le prospettive dell’epidemia in Thailandia se non si interverrà in modo tempestivo. Ovviamente sono state anche per lui numerose le critiche e le manifestazioni di scetticismo per una tesi che ancora una volta, più che certezze scientifiche o azioni in linea con l’emergenza, mostra la xenofobia e la mancanza di senso di responsabilità altrettanto diffuse.

Dopo settimane in cui i dati ufficiali erano rimasti fissi su 30-40 casi “lievi” di contagio, da qualche giorno si verifica una crescita esponenziale di casi, non diversa però da quella di altri paesi in cui ci si trova di fronte a una sottovalutazione ufficiale del problema e a direttive non solo confuse ma sostanzialmente ignorate. Tant’è vero che se Bangkok e le province limitrofe sono state messe in sicurezza chiudendo ritrovi, ristoranti, grandi magazzini e scuole fino al 12 aprile, nessuno ha pensato di impedire l’esodo della popolazione che diffonderà ovunque il contagio, finora concentrato nella capitale.

Il dottor Leechawengwong, con la sua acredine verso gli stranieri, è espressione di un paese guidato dai militari e dagli interessi elitari che vede approfondirsi le sue ombre e che va perdendo i tradizionali alleati, investitori e visitatori per finire sempre più nell’abbraccio cinese.

Stefano Vecchia

Come l’Asia affronta la pandemia

Focolaio primario della pandemia, l’Asia corre ai ripari con provvedimenti di urgenza isolando aree abitate oppure potenziando i sistemi sanitari e la coscientizzazione delle popolazioni. Tuttavia la preoccupazione è elevata, soprattutto per le realtà più afflitte da povertà, repressione politica o incompetenza. Diffuso è il timore che saranno le classi medie già falcidiate dalla crisi economica e i più poveri e indifesi a subire le conseguenze maggiori della pandemia.

I pochi casi ufficiali di contagio, da poche decine a qualche centinaio, con il numero massimo (900) in Malaysia accertati nei dieci paesi membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) che conta 630 milioni di abitanti, sembrano più frutto di sottovalutazione che di reale diffusione del Covid-19. Ovunque, ampie differenze di reddito e possibilità tra una esigua minoranza e la maggior parte degli abitanti, qui come altrove in Asia, non potranno che amplificare le conseguenze per i gruppi meno favoriti.

“Le problematiche abitative sono ora sulla linea del fronte contro la diffusione del coronavirus, avere una abitazione mai come ora può fare la differenza per la vita o la morte”. Con queste parole Leilani Farha, Inviato speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’abitazione, ha sollecitato tutti i governi a prendere misure efficaci per evitare che altri vadano ad aggiungersi al gran numero di individui che vivono in condizioni abitative precarie (1,8 miliardi nel mondo) che li espongono ora maggiormente al contagio. A sua volta, un rapporto della United Nations Economic and Social Commission for Asia and the Pacific segnala con chiarezza i rischi di recessione in aree vulnerabili, al punto che la pandemia potrebbe più che raddoppiare il numero degli asiatici in povertà estrema (sotto 1,9 dollari al giorno) prima previsto in 56 milioni entro il 2030.

Si temono anche i rischi di involuzione democratica e la restrizione di diritti e libertà già ridotte o sotto pressione in diversi paesi. Non a caso, in una Hong Kong che registra un record di contagi di ritorno, in buona parte attribuibile al rientro di cittadini e stranieri dall’estero, il prolungato braccio di ferro tra democratici e governo locale (supportato da Pechino) è andato sottotraccia ma l’accademico e attivista Benni Tai parla dello stato di diritto attuale come di “un morto che cammina”. Altrove, come in Thailandia, Cambogia, Corea del Nord – la stessa Repubblica popolare cinese – a rischio sono anche regimi repressivi messi alla prova da un’emergenza che si associa alla recessione economica già in corso. Infine, crescono i timori delle minoranze religiose in realtà, come la Malaysia, il Myanmar o l’India, dove la crisi potrebbe incentivare xenofobia e suprematismo a base religiosa.

Stefano Vecchia