IL MYANMAR “SCOPRE” IL CONTAGIO

Il Myanmar (già Birmania) scopre il coronavirus, con tre casi registrati dal 23 marzo dopo che varie fonti avevano indicato l’individuazione di almeno un cittadino cinese positivo già a fine gennaio. Da allora, però i segnali del contagio erano stati limitati alla chiusura della maggior parte dei posti di frontiera terrestri e a un filtro sempre più stretto ai voli in arrivo. Fino all’annuncio, la settimana scorsa della quarantena obbligatoria per passeggeri provenienti da 14 paesi, misura incrementata il 25 marzo con la decisione di imporre 14 giorni di isolamento per tutti – birmani e stranieri – autorizzati a sbarcare nei soli aeroporti di Yangon, Mandalay e la capitale Naypyitaw.

Il paese è però tutt’altro che sigillato e questo vale per le decine di migliaia di birmani emigrati per lavoro all’estero, a partire da quelli nella confinante Thailandia che cercano di rientrare prima che Bangkok dichiari il blocco totale, ma anche i cinesi, a cui si deve il maggior flusso turistico nel paese sommato a un gran numero di imprenditori, commercianti, consulenti e specialisti impegnati nella costruzione di infrastrutture.

Da sempre il rapporto tra il Myanmar e il vicino cinese è intenso e, sino alla fine del regime nel 2011, sostenuto dall’apparato militare che ancora oggi, nonostante il consolidamento di istituzioni democratiche con un ruolo essenziale garantito alla Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi e alla sua Lega nazionale per la democrazia, conservano ministeri chiave, come quelli delle Risorse naturali e delle Frontiere, che garantiscono forti benefici economici e il controllo di aree strategiche.

In questo panorama si situa la difficile situazione del Nord-Ovest birmano. Ieri l’organizzazione non governativa Fortify Rights (FR) ha chiesto al governo la fine immediata di ogni restrizione all’uso di Internet negli stati Rakhine e Chin, svuotato il primo dell’etnia musulmana Rohingya da operazioni militari che la comunità internazionale ha denunciato come “genocidio” e il secondo che è campo di battaglia tra esercito e milizie etniche. Militarizzazione e censura impedirebbero, secondo FR, un’efficace azione preventiva e di cura in caso di epidemia conclamata.

Stefano Vecchia