GIAPPONE: RICORDARE FUKUSHIMA IN TEMPO DI PANDEMIA

A oltre nove anni dalla doppia catastrofe naturale terremoto-tsunami che attivò la peggiore crisi nucleare in Giappone e la seconda come gravità al mondo dopo quella di Chernobyl, ricordare Fukushima può sembrare retorico, oppure consolatorio. Nessun rapporto, nessuna parallelo possibile, ma allo stesso tempo le due crisi finiscono per intrecciarsi.

Il Giappone ha pagato pesantemente in termini di vittime (18mila) per l’immane disastro dell’11 marzo 2011, e in termini economici (300 miliardi di dollari) sia per la ricostruzione sia, ancora, per il sostanziale blocco del suo sistema energetico nucleare dopo l’avaria dei reattori della centrale numero 1 di Fukushima.

Da anni il paese aveva posto nelle Olimpiadi della prossima estate, ora spostate al 2021, le speranza di vedere esorcizzata quella catena di eventi e di lasciarsela alle spalle. Avviando così una nuova fase, libera dall’incubo nucleare nato con la devastante esperienza dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki il 6 e il 9 agosto 1945 e rilanciata dalla fusione delle barre di combustibile atomico nei reattori di Fukushima dove il contenimento delle radiazioni prosegue con costi e rischi altrettanto elevati.

Invece, l’aggressione del coronavirus ha modificato tutto questo, ha stoppato una crescita che sembrava inarrestabile del turismo che in un quinquennio si era incrementato fino a ipotizzare i 40 milioni di visitatori per l’anno in corso, ha aggiunto a una paura profonda, senza pari nell’era moderna ma ormai nota, con una più atavica perché invisibile e straniera.

Dal 7 aprile il Giappone ha avviato la fase del contrasto nazionale alla diffusione del Covid-19 e con ogni probabilità nei prossimi giorni e settimane si dovrà muovere sul percorso ormai noto di distanziamento sociale e ridimensionamento produttivo. Saprà probabilmente farlo con impegno e in modo ordinato, con lo spirito di sacrificio e l’efficienza che sono tratti distintivi dei giapponesi. Le certezze con cui il Giappone affronterà l’accumularsi delle sue crisi potranno segnare il confine tra una crisi da superare, per quanto difficile o dolorosa, o un nuovo incubo da integrare nella coscienza collettiva.

Stefano Vecchia

“ITALIAN CONNECTION” PER IL SUPER-VIRUS

Ci risiamo! Ci aveva provato dieci giorni fa il ministro della Sanità, Anutin Charnvirakul, a cercare tra gli stranieri gli untori responsabili dell’epidemia di Covid-19 in Thailandia, trovandosi subissato di proteste e insulti e costretto per questo a chiudere il sito Facebook dove aveva postato le sue accuse insensate.

Ci riprova oggi un “eminente medico” citato dal quotidiano Thai Rath che ha incolpato gli italiani, e in particolare un fantomatico “super-diffusore” che avrebbe acceso la miccia del contagio nell’ex Paese del Sorriso che l’atteggiamento benevolo e la leggerezza del vivere ha perso da tempo sostituita da repressione, divaricazione sociale e xenofobia.

Secondo il dottor Manoon Leechawengwong, “esperto di malattie infettive del Vichaiyut Hospital di Bangkok”, il paese, che prima di marzo era stato colpito in modo molto limitato da una versione debole del virus (“di provenienza asiatica”, sottolinea), ha visto nelle ultime settimane la diffusione della forma del virus proveniente dall’Italia assai più contagiosa. Responsabile un individuo contagiato da un parente arrivato dal nostro paese (se un viaggiatore italiano o un thailandese al rientro non è specificato). Colpa sua se 50 individui sono stati contagiati durante una competizione di boxe thailandese il 6 marzo e questi a loro volta si sono incaricati (involontariamente si presume) di diffondere il morbo in modo esponenziale (721 i casi di contagio e un decesso finora).

Sulla sua pagina Facebook, il medico ha segnalato con preoccupazione le prospettive dell’epidemia in Thailandia se non si interverrà in modo tempestivo. Ovviamente sono state anche per lui numerose le critiche e le manifestazioni di scetticismo per una tesi che ancora una volta, più che certezze scientifiche o azioni in linea con l’emergenza, mostra la xenofobia e la mancanza di senso di responsabilità altrettanto diffuse.

Dopo settimane in cui i dati ufficiali erano rimasti fissi su 30-40 casi “lievi” di contagio, da qualche giorno si verifica una crescita esponenziale di casi, non diversa però da quella di altri paesi in cui ci si trova di fronte a una sottovalutazione ufficiale del problema e a direttive non solo confuse ma sostanzialmente ignorate. Tant’è vero che se Bangkok e le province limitrofe sono state messe in sicurezza chiudendo ritrovi, ristoranti, grandi magazzini e scuole fino al 12 aprile, nessuno ha pensato di impedire l’esodo della popolazione che diffonderà ovunque il contagio, finora concentrato nella capitale.

Il dottor Leechawengwong, con la sua acredine verso gli stranieri, è espressione di un paese guidato dai militari e dagli interessi elitari che vede approfondirsi le sue ombre e che va perdendo i tradizionali alleati, investitori e visitatori per finire sempre più nell’abbraccio cinese.

Stefano Vecchia

Come l’Asia affronta la pandemia

Focolaio primario della pandemia, l’Asia corre ai ripari con provvedimenti di urgenza isolando aree abitate oppure potenziando i sistemi sanitari e la coscientizzazione delle popolazioni. Tuttavia la preoccupazione è elevata, soprattutto per le realtà più afflitte da povertà, repressione politica o incompetenza. Diffuso è il timore che saranno le classi medie già falcidiate dalla crisi economica e i più poveri e indifesi a subire le conseguenze maggiori della pandemia.

I pochi casi ufficiali di contagio, da poche decine a qualche centinaio, con il numero massimo (900) in Malaysia accertati nei dieci paesi membri dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean) che conta 630 milioni di abitanti, sembrano più frutto di sottovalutazione che di reale diffusione del Covid-19. Ovunque, ampie differenze di reddito e possibilità tra una esigua minoranza e la maggior parte degli abitanti, qui come altrove in Asia, non potranno che amplificare le conseguenze per i gruppi meno favoriti.

“Le problematiche abitative sono ora sulla linea del fronte contro la diffusione del coronavirus, avere una abitazione mai come ora può fare la differenza per la vita o la morte”. Con queste parole Leilani Farha, Inviato speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’abitazione, ha sollecitato tutti i governi a prendere misure efficaci per evitare che altri vadano ad aggiungersi al gran numero di individui che vivono in condizioni abitative precarie (1,8 miliardi nel mondo) che li espongono ora maggiormente al contagio. A sua volta, un rapporto della United Nations Economic and Social Commission for Asia and the Pacific segnala con chiarezza i rischi di recessione in aree vulnerabili, al punto che la pandemia potrebbe più che raddoppiare il numero degli asiatici in povertà estrema (sotto 1,9 dollari al giorno) prima previsto in 56 milioni entro il 2030.

Si temono anche i rischi di involuzione democratica e la restrizione di diritti e libertà già ridotte o sotto pressione in diversi paesi. Non a caso, in una Hong Kong che registra un record di contagi di ritorno, in buona parte attribuibile al rientro di cittadini e stranieri dall’estero, il prolungato braccio di ferro tra democratici e governo locale (supportato da Pechino) è andato sottotraccia ma l’accademico e attivista Benni Tai parla dello stato di diritto attuale come di “un morto che cammina”. Altrove, come in Thailandia, Cambogia, Corea del Nord – la stessa Repubblica popolare cinese – a rischio sono anche regimi repressivi messi alla prova da un’emergenza che si associa alla recessione economica già in corso. Infine, crescono i timori delle minoranze religiose in realtà, come la Malaysia, il Myanmar o l’India, dove la crisi potrebbe incentivare xenofobia e suprematismo a base religiosa.

Stefano Vecchia

Asia: Emergenza coronavirus 19.03

AUSTRALIA e NUOVA ZELANDA sono gli ultimi tra i molti paesi che hanno chiuso l’ingresso ai non residenti.

GIAPPONE e THAILANDIA, tra gli altri, hanno invece imposto la quarantena all’arrivo.

GIAPPONE. Si alza di livello e ormai ha raggiunto i vertici politici, sollecitati anche dall’estero, il dibattito sul rinvio o la sospensione delle Olimpiadi e Parolimpiadi di luglio-agosto.

FILIPPINE. Prosegue la messa in sostanziale quarantena di metà della popolazione. Il governo giapponese ha deciso l’invio di 100mila kit per testare la presenza del coronavirus.

CINA e HONG KONG affrontano un crescente numero di casi importati dall’estero, in maggioranza cinesi di ritorno, 34 per la prima. Si parla di “seconda ondata” del contagio, peraltro prevista in casi di pandemia.

COREA DEL SUD. Crescono i mini-focolai (ad esempio in case di riposo o comunità religiose) con un rialzo nel numero dei contagi quotidiani dopo alcuni giorni di stasi.

GLOBALMENTE salgono a 17mila miliardi le perdite borsistiche e, con le nuove iniziative di quantitative easing della Banca centrale europea, a 1.900 miliardi i provvedimenti anti-crisi economica attivati finora nel mondo.

INDONESIA. Alle prese con la richiesta frenetica di provvedimenti di contenimento del contagio e di test, ma con 270 milioni di abitanti e strutture sanitarie già inadeguate, è ora uno dei paesi a maggior rischio e, con 19 decessi, quello finora più interessato da casi letali nell’Asia sudorientale.

MALAYSIA. La federazione si conferma il paese con finora il più alto numero di contagi del Sud-Est asiatico, 900.

VIETNAM. Avviato un piano di contenimento della mobilità, a partire dalla capitale Hanoi.

Stefano Vecchia